La Sapienza della Croce

La Sapienza della Croce  (XXVI) n.2 Maggio-Agosto 2011

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EDITORIALE
“Dalla Croce la definizione del Dio cristiano ”
di GIANNI SGREVA cp  (pp. 187-191)


SACRA SCRITTURA e TEOLOGIA
Ipse est tribulatus. La metafora dell’afflizione divina in Is 63,9 e nel suo contesto
di LEOPOLDO BORIS LAZZARO,
C.M.O.P. (pp. 193-225)

Il linguaggio metaforico della poesia biblica ci consegna spesso l’immagine di un Dio compassionevole, vicino alle sofferenze del suo popolo. È questo il caso di Is 63,9 (TM), “locus classicus”, secondo la tradizione rabbinica, della com-passione divina.  Il passo appartiene all’introduzione storica (63,7-14), di mano redazionale, del celebre salmo di Is 63,7-64,11. Stabilita una possibile strutturazione retorica di tale pericope introduttiva (63,7-14), il presente contributo cerca di delineare, sul piano lessicografico e semantico, la connotazione antropo-patica dell’afflizione divina per chiarirne il valore teologico. Inoltre, sfruttando le conclusioni storico-critiche degli studi di Pauritsch e Sekine, l’articolo mostra il probabile motivo per cui, nell’Israele post-esilico, emerge progressivamente la percezione di un Dio vicino a chi soffre, coinvolto nell’alleanza fino alle estreme conseguenze.

Sofferenza di Dio nel Midrash
di GIOVANNI BISSOLI O.F.M. (pp. 227-236)

A partire dagli anni ’70, gli studi di A. Goldberg , di P. Kuhn e di A. Heschel hanno riportato alla luce un aspetto sorprendente della teologia rabbinica: la sensibilità divina, il coinvolgimento empatico di Dio nel dramma umano. Lo studio di G . Bissoli si concentra su tre testi connessi alla memoria della distruzione del tempio di Gerusalemme, celebrata nella liturgia sinagogale del 9 di Av. In essi, i passi biblici di Ger 25,30, di Is 22,4 e dei cc. 9-10 di Ez, giocosamente reinterpretati attraverso l’ardita tecnica del midrash, lasciano emergere l’immagine di un Dio che si dà pena per le sofferenze del popolo: attraverso la com-passione Egli redime.

Dio è amore (agapê): esegesi di 1 Gv 4, 8.16
di FRÉDÉRIC MANNS O.F.M. (pp. 237-249)

L’esegeta croato F. Manns è noto per aver posto in dialogo la letteratura giovannea con la tradizione giudaica in cui è fiorito il quarto Vangelo. Nel presente contributo, alla luce della stessa tradizione giudaica, egli rilegge il passo di 1Gv 4,7-11 e più estesamente la figura del Dio-amore del NT. Ne risulta un intarsio di continue corrispondenze tra il mondo di Giovanni e l’ambiente rabbinico: così avviene per il rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo o per il legame tra giustizia e misericordia. Accostando questi due mondi, la stessa figura di Gesù «vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10) acquista nuovo spessore: egli completa in sé il sacrificio di Isacco, prova unica e irrepetibile – così l’avvertiva la tradizione giudaica – per la salvezza del popolo.

Dio-Amore “gridato” da Gesù abbandonato
di ANGELA MARIA LUPO C.P. (pp. 251-270)

Il punto culminante della rivelazione divina del NT, l’affermazione “Dio è amore” (1Gv 4,8.16), si comprende pienamente alla luce del grido di Gesù morente che significa anche “Dio mio, perché ti hai abbandonato?”. La Parola eterna di Dio sulla croce lascia spazio alla “super-parola”, quella dell’Amore del Padre e, nello splendore della sua debolezza, Gesù manifesta il volto nuovo dell’Amore. Da allora tutto ciò che può apparire come fallimento, debolezza, non-Dio, è lo spazio privilegiato dove il Padre può agire operando tutto ciò che ha operato nel Figlio crocifisso.

L’Agape in Paolo
di MARIO COLLU C.P. (pp. 271-294)

Per esprimere l’amore di Dio per l’uomo, dell’uomo per Dio e per il prossimo il Nuovo Testamento usa prevalentemente il sostantivo agápe (amore), il verbo agapáô (amare) e l’aggettivo agapêtós (amato), mentre non è mai usato il gruppo lessicale eráô/erôs (amore come desiderio, passione). Paolo, dopo Giovanni, è chi più utilizza il vocabolario dell’agápe. L’autore dell’articolo presenta, innanzitutto, i testi paolini, in cui l’agápe è messa in relazione con le virtù teologali della fede e della speranza. In un secondo momento, analizza l’idea di agápe nelle lettere proto-paoline: 1Tessalonicesi, 1-2Corinzi, Filippesi, Filemone, Galati e Romani.
L’agápe è, per Paolo, principalmente, dono di Dio effuso nel cuore dei credenti per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5), che si manifesta nella morte e risurrezione di Cristo «per noi» (Rm 5,8.32.34; 1Cor 1,13; 11,24; 15,3; 2Cor 5,14.15.21). L’agápe è la «via migliore» senza la quale né la conoscenza e neppure le altre due virtù teologali della fede e della speranza hanno consistenza, perché solo «l’agápe non avrà mai fine» (1Cor 13,1). Riguardo, poi, al rapporto dell’agápe con la legge, Paolo ricapitola i precetti della legge nell’amore del prossimo (Rm 13,8-10; cf Gal 5,14), che deve comprendere non solo i deboli nella fede (Rm 14,15), ma anche i propri nemici (Rm 12,9-21). L’apostolo evidenzia, inoltre, alcune dimensioni dell’agápe, come la «costrizione amorosa» (2Cor 5,14), la sua crescita (1Ts 3,12; Fil 1,9) e la sua difesa (1Ts 5,8).

The love of God revealed in Christ: 1 Cor 13,4-7
di JOSEPH EDWIN PANIAGUA O.F.M. (pp. 295-311)
This article derives from a more extensive work on a literary analysis of 1 Cor 13:4-7. A close examination of 1 Cor 13: 4-7 in its most immediate context of Chapter 13 and in the larger context of Chapters 12-14 gives us to understand that Paul is addressing the Corinthians who are very divided over the issue of spiritual gifts. Paul’s Chapter 13 on love is truly an antidote to such division and competition. Some of the verbs used by Paul to describe the act of loving are really “hapax legomena”, which may possibly have been chosen by him with a view to applying them to the specific situation of Corinth. Within such a context, the love of God, as revealed in Christ, is that which heals all divisions and allows us to see our differences, not as a reason for dispute but rather as gifts. The aim of this article is to contribute, in an original way, to the illustration of the Pauline concept of agape as being personified by God and remaining inseparable from the love of one’s neighbour. In the light of such a reflection, love is, in truth, a “more excellent way” (1 Cor 12:31), whose quality and nature surpasses all other gifts.

(abstract in italiano) L’articolo deriva da un lavoro più grande sull’analisi letteraria di 1 Cor 13,4-7. Dando uno sguardo profondo a 1 Cor 13,47 nell’immediato contesto del c.13 e nel contesto più largo dei cc.12-14 si può capire che Paolo ha a che fare con i Corinti assai divisi a proposito dei doni spirituali. Il c.13 di Paolo sull’amore è veramente l’antidoto a questa divisione e contesa. Alcuni dei verbi usati da Paolo per descrivere la pratica dell’amore sono in realtà degli hapax legomena, che Paolo forse usa per adattarli specificatamente alla situazione di Corinto. Dentro questo contesto, l’amore di Dio rivelato in Cristo è ciò che guarisce tutte le divisioni e ci permette di vedere le nostre differenze, non come punti di contesa, ma invece come doni. L ’obbiettivo di questo articolo è di contribuire in modo originale a mostrare come il concetto paolino di agape è personificato come Dio e indissolubilmente connesso all’amore del prossimo. Alla luce di ciò, l’amore è, in verità, “ la strada più eccellente” (1 Cor 12,31), quella che supera tutti gli altri doni in qualità e natura.

La “Caritatis Passio” dal Figlio al Padre:
risonanze di Ez 16,5 in Origene
di GIANNI SGREVA C.P. (pp. 313-336)
Origene, esponente della Logos-teologia, e quindi di per sé lontano dal pensare la possibilità dell’esperienza della sofferenza in Dio stesso, facendo l’esegesi di Ez 16,3 si sente trascinato dalla forza della Parola ebraica, giungendo a comprendere che Dio permette la sofferenza a Gerusalemme, non solo a motivo e medicina dei suoi peccati, ma soprattutto per manifestare il suo coinvolgimento. Dio stesso con-soffre con Gerusalemme e soffre su di essa. La “caritatis passio” di Dio è la presenza della sofferenza in Dio precedente l’incarnazione e passione del Figlio, la seconda condizionata e originata dalla prima. «Si enim non fuisset passus, non venisset in conversatione humanae vitae. Primum passus est, deinde descendit et visus est». E ammettere questo da parte di Origene significava tout court penetrare l’area del divino, creare una breccia nella concezione sia platonica sia plotiniana di Dio, e ammettere che l’obbedienza alla fede cristiana sull’incarnazione del Logos, portava inevitabilmente a collocare la sofferenza in Dio. Il primum è la passione del Logos-Dio, la sofferenza nell’ambito trinitario e nello schema della Logos-teologia, mentre il deinde è la passione della carne e della croce, nell’ambito della cristologia.

Non mea voluntas, sed tua fiat: il significato teologico del Getsemani
di TARCISIO STRAMARE O.S.J. (pp. 337-355)
Critica testuale e metodo della storia delle forme si sono interessati del racconto evangelico dell’agonia di Gesù nel Getsemani, ma molto più ne sono stati coinvolti, sul piano cristologico, i Concili dei primi secoli, preoccupati di difendere la volontà umana di Gesù contro l’errore del monotelismo. Che dire poi della grande attenzione della teologia a difesa della “verità” della sofferenza di Gesù (vere passus) e della sua sottomissione “volontaria” alla passione e morte, in piena obbedienza alla volontà del Padre, espressione del suo amore “filiale”? Di qui la profonda “spiritualità getsemanica” che ne scaturisce, nutrita di volontà di Dio e tradotta in azione e preghiera (vigilate et orate). Da rilevare, infine, la collocazione del racconto, tra l’istituzione dell’Eucarestia e la morte, che evidenzia l’ “offerta sacrificale” di Gesù.


SPIRITUALITÀ
Dio-Amore-Passione:
una lettura trinitaria in S. Paolo della Croce
di TITO PAOLO ZECCA C.P. (pp. 357-374)

Il magistero spirituale del grande mistico San Paolo della Croce gode di un’insondabile profondità trinitaria. L’analisi del Diario di Castellazzo e di alcune lettere, svolta con competenza dall’A., mostra la dinamica di un cammino di conformazione mistica al Crocifisso che attinge forza nell’amore del Dio unitrino, Sommo Bene, e ad esso anela. A partire dall’umile riconoscimento della propria nullità e dalla sottomissione perfetta alla divina volontà, l’anima può gettarsi, inebriata, nel fuoco del divino Tutto, nelle braccia del Padre. Porta d’accesso al seno del Padre, in questo movimento di divinizzazione, in questo “volo”, è il Cuore trafitto dell’Incarnato. Qui il Fondatore della Congregazione della Passione gusta la profondità del mistero trinitario, qui attinge lo Spirito d’Amore che lo sprona alla missione, all’annuncio della Passione, capolavoro del Dio-Amore.

Crux Fidelis, sacra rappresentazione della Via Crucis
a cura di M. M. VALENTINA FREGNO C.M.O.P. (venduto solo con la rivista intera)

 

(l’editoriale e le recensioni e la Via Crucis finale, sono parti integranti della rivista e non sono vendute singolarmente)


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